Farmaci anti-angiogenetici: scontro tra titani
L’editoriale di questo mese è dedicato al trattamento intravitreale mediante l’utilizzo dei farmaci anti-angiogenetici. Vi ricordate qualche anno fa (non più di tre)?…. sembrava che il triamcinolone potesse in parte risolvere tutti i mali della retina, ma ora ecco che si avvicinano sempre di più i tanto aspettati farmaci anti-angiogenetici, quelli che grazie alla loro azione nell’inibire il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) impedirebbero ai neovasi di formarsi o interromperebbero la loro crescita. Non solo, sembra che questi farmaci dai nomi impossibili, pegaptanib, ranibizumab, bevacizumab, agiscano anche nel ridurre l’edema maculare. E allora ecco pronte schiere di pazienti alle porte dei nostri ambulatori, vogliosi di farsi bucherellare i loro occhi pur di mantenere quel poco di vista che gli rimane o di poterla migliorare. Coloro che si occupano di retina (incluso il sottoscritto), non credono ai loro occhi, non si parla più (…finalmente!) di glaucoma, papilla, fibre nervose, neuroprotettori, prostaglandine, ma di degenerazione maculare, neovascolarizzazione coroideale ed edema maculare. Bene, molto bene…ora però che abbiamo in mano il giocattolo, il nostro compito è trattarlo bene, non abusarne, cercare di somministrarlo secondo scienza e coscienza e soprattutto senza illuderci di avere in mano la panacea di tutti i mali.
Negli ultimi quattro mesi sono usciti 6 lavori scientifici: 4 sul pegaptanib [Macugen]; 1 sul Bevacizumab [Avastin]; e 1 sul Ranibizumab [Lucentis] ed è solo l’inizio. In Italia non sono ancora ufficialmente usciti sul mercato, eppure già i pazienti li chiedono. Ironia della sorte, quello che probabilmente verrà utilizzato per primo, ma in realtà alcuni pazienti già se lo sono fatto iniettare, è il Bevacizumab (Avastin), che sulla scia degli altri due competitori rimasti indietro nelle pastoie delle sperimentazioni cliniche e dei lanci ai vari congressi internazionali e mondiali, ha per primo tagliato il traguardo italiano, anche se non con l’indicazione per l’utilizzo intravitreale. Il gossip oculistico, che non viaggia tramite internet, ma per bocca dei pazienti, ci dice che molti colleghi già lo utilizzano o stanno organizzandosi per farlo.
Quello che oggi sappiamo dalla evidence based medicine è che il Ranibizumab (Lucentis) e in parte anche il Pegaptanib (Macugen), sembrerebbero per la prima volta migliorare in una buona percentuale la funzione visiva delle persone affette da degenerazione maculare legata all’età essudativa. Ecco però che in questi giorni viene pubblicata una serie di 79 casi trattati con Bevacizumab (Avastin). Il lavoro pur non essendo prospettico e randomizzato, dimostra anche in questo caso un significativo miglioramento della funzione visiva rispetto al tempo zero. Si diceva che l’Avastin fosse troppo grande per penetrare la retina e che dunque fosse necessario rimpicciolire la molecola e così è stato fatto e alla fine è stato ottenuto il Lucentis. Qualcosa però deve non aver funzionato, perché seppur troppo grande, l’Avastin qualche effetto nel ridurre la neovascolarizzazione coroideale sembra darlo e a costi decisamente inferiori. Questi sono i paradossi della ricerca scientifica che tuttavia ha l’obbligo di seguire dei rigorosi percorsi di validazione che tutti noi auspichiamo anche per l’Avastin.
Tags In
Categorie
Articoli recenti
- I BISOGNI (REALI) DEL PAZIENTE OFTALMOLOGICO
- DIGITAL HEALTH E SETTORE OFTA: COSA PREVEDE IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA?
- LA TELEOFTALMOLOGIA APPLICATA CON SUCCESSO A GENOVA
- TESTALAVISTA: UPVALUE E COMITATO MACULA INSIEME PER LA PREVENZIONE DI RD E EMD
- ONLINE E WIRELESS: LA TECNOLOGIA DIGITALE AL SERVIZIO DEL PAZIENTE OFTALMOLOGICO