Il melanoma intraoculare – A cura del Dott.Carlo Mosci – Genova
Quale scenario per la terapia delle maculopatie?
di Gianni Virgili
professore associato – Clinica Oculistica, Università di Firenze
Il trattamento delle maculopatie con neovascolarizazione coroideale (CNV) è stato caratterizzato da tre decenni di sostanziale monoterapia, la fotocoagulazione laser. Gli studi randomizzati controllati (RCT) pubblicati dal Macular Photocoagulation Study (1-9) hanno confermato l’utilità della terapia in alcuni casi di AMD e hanno proposto alcune estensioni delle indicazioni, non tutte accettate e tra queste il trattamento diretto delle lesioni foveali, almeno in Italia. L’introduzione della angiografia con indocianina (ICG) ha movimentato solo in apparenza il panorama, proponendo una estensione delle indicazioni alla fotocoagulazione che non è stata alla fine supportata da studi di qualità sufficiente (RCT adeguati) da poterne misurare l’efficacia nelle forme occulte di CNV. Anche la chirurgia maculare non ha lasciato una traccia convincente, in particolare alla luce dei risultati del sub-macular surgery trial (10, 11).
La termoterapia transpupillare (12) è stata soprattutto una novità, mai consolidata, come spesso succede, anche qui per la assenza di conferma in un RCT e quindi soppiantata da altre novità.
L’introduzione del farmaco nella terapia fotodinamica (PDT) con verteporfina (13-22) ha rappresentato l’inizio di una era nuova. Il farmaco porta con se una serie di interessi – il valore economico del settore si è bruscamente innalzato – ma anche di regole e di occasioni – l’utilizzo e la conoscenza del complesso bagaglio culturale che regolamenta l’uso dei farmaci – che hanno reso gli oculisti retinologi più partecipi della realtà terapeutica moderna.
Oltre cinque anni di terapia fotodinamica hanno fatto prendere coscienza di importanti aspetti. Sul piano della efficacia clinica, l’uso della PDT ci ha ricordato quanto vale –mediamente – per il paziente una terapia che riduce la perdita visiva, una percezione che non era possibile con la fotocoagulazione, la quale ha un esito dicotomico (blocca completamente la malattia o non serve a nulla). Sul piano metodologico ha portato tra i retinologi il linguaggio della moderna sperimentazione clinica, che sostanzialmente non ci apparteneva, dato che capisaldi come l’ETDRS e l’MPS non hanno certo avuto la promozione che una industria farmaceutica sa dare ad un risultato terapeutico favorevole.
L’ingresso del triamcinolone intravitreale (23-26) ha determinato l’inizio della polifarmacoterapia, preludendo a scenari molti più complessi che si stanno delineando. Per alcuni versi questo vuol dire ripiombare nella nebbia della mancanza di evidenze solide, con tutta la conseguente eterogeneità di comportamenti medici che ne risulta. Non basteranno i numerosi RCT di buona qualità che avremo a disposizione per alcuni trattamenti per soddisfare tutte le esigenze di informazioni necessarie per curare i nostri pazienti. Ad esempio, non sarà scontato sostenere che un farmaco funziona meglio di un altro in assenza di RCT che effettuano un confronto diretto. Soprattutto, non sarà scontato continuare ad usare farmaci con efficacia non misurata – si potrebbe dire non dimostrata – quale l’avastina, una volta che farmaci registrati per l’uso di cui parliamo saranno disponibili. Il costo molto superiore dei secondi dovrebbe essere una considerazione secondaria rispetto a quella sulla efficacia. Non sarà neppure semplice decidere la eventuale sequenza con cui pensiamo di utilizzare le varie terapie, soprattutto tenendo presente che, per motivi di assorbimento di risorse (farmaco, ma anche diagnostica e terapia) non potremo sostenere un passaggio immediato alla polifarmacoterapia. Piuttosto saremo orientati, immagino, a verificare la eventuale buona risposta ad una monoterapia (PDT) per poi procedere con l’associazione (PDT ed antiangiogenico e/o steroide). Continueremo ad avere dubbi sulla opportunità di impiegare i nuovi farmaci antiangiogenici nei miopi, per i quali non si profila per ora un RCT dedicato.
Ed il paziente? Nella comunicazione medica viene purtroppo per ultimo, e qui non faccio eccezioni, perchè di solito l’accento è posto sulla tecnologia. Ossia, sappiamo tutti che i pazienti li seguiamo quotidianamente e con impegno, ma non sono al centro delle relazioni tra professionisti, almeno a livello, diciamo così, “ufficiale”. La medicina che riflette su sé stessa vede apparati, o medici o farmaci o esami, ma fa un po’ di fatica a intravedere le persone reali. Probabilmente nella maggior parte dei casi non saremo in grado di riportare alla normalità l’esistenza di questi malati di maculopatia, quando si ammala il secondo occhio, restituendo quei 5/10 o più che sono necessari per funzionare decorosamente nella vita reale. Di certo saranno un po’ più numerosi i pazienti che li raggiungeranno. Non sarà facile dire se i costi elevati che il SSN sopporterà saranno spesi meglio per questi anziani con maculopatia, rispetto a quello con un qualsiasi tumore o a quelli che hanno bisogno di una riabilitazione, senza contare quelli che hanno bisogno solo di assistenza per sostenere i tanti acciacchi della loro vecchiaia.
References
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